World Press Photo a Torino, fino al 17 novembre

Nel giorno in cui il centro della città è rimasto bloccato per ore a causa della manifestazione degli studenti in difesa dell’ambiente, è stata presentata la mostra di fotogiornalismo più importante al mondo.
Per il terzo anno consecutivo a Torino, World Press Photo, la mostra di fotogiornalismo presente in oltre cento città e più di 45 Paesi, è organizzata dall’Associazione CIME – Culture e Identità Mediterranee. Dopo il successo dell’edizione 2018, la mostra è nuovamente ospitata negli spazi dell’ex Borsa Valori di via San Francesco da Paola 22 (piazzale Valdo Fusi) e sarà visitabile dal 27 settembre a domenica 17 novembre 2019.

Ogni anno, migliaia di fotoreporter delle maggiori testate editoriali internazionali come National Geographic, BBC, CNN, Le Monde, El Pais si contendono il titolo nelle diverse categorie del concorso di fotogiornalismo: Contemporary Issues, Environment, General News, Long-Term Projects, Nature, People, Sports, Spot News, con l’obiettivo di aggiudicarsi l’ambito premio ed un posto in questa mostra.
L’esposizione presenta le 157 foto selezionate come immagini che raccontano il 2018., compresa la vincitrice del World Press Photo of The Year 2019: Crying Girl on the Border di John Moore dell’agenzia Getty Image. L’immagine ritrae una bambina honduregna di circa due anni, Yanela, in un pianto disperato mentre sua madre, Sandra Sanchez, che la teneva in braccio, è costretta a metterla a terra perché viene perquisita da un agente della polizia di frontiera americana al confine con il Messico.

Le foto vincitrici di quest’anno sono state scelte tra le quasi 79.000 fotografie scattate dai 4.738 fotografi che hanno partecipato al concorso, provenienti da 129 differenti Paesi.
La giuria che le ha selezionate era presieduta da Whitney C. Johnson, vicepresidente della sezione del National Geographic che si occupa di contenuti visivi. Tra i giurati c’erano anche il fotografo Neil Aldridge, la curatrice Yumi Goto, il fotografo di Getty Images Nana Kofi Acquah, il responsabile dei progetti speciali di TIME Paul Moakley, la fotogiornalista Alice Martins e la fotogiornalista Maye-e Wong di Associated Press.
Quest’anno all’interno delle categorie premiate, è stato introdotto il premio World Press Photo Story of the Year, assegnato al fotografo “la cui creatività visiva e abilità hanno prodotto storie fotografiche con eccellenti editing, riguardanti un grande evento o una questione di rilevanza giornalistica del 2018”. Ad aggiudicarsi la nuova sezione è stato l’olandese Pieter Ten Hoopen con con il progetto The Migrant Caravan: un foto-racconto, realizzato tra ottobre e novembre, dedicato all’immigrazione e alla più grande carovana di migranti partita dall’Honduras (e che ha raccolto persone da Nicaragua, El Salvador e Guatemala) e diretta negli Stati Uniti con oltre 7000 persone, tra cui almeno 2300 bambini (secondo quanto affermato dalle agenzie delle Nazioni Unite).

La mostra è arricchita dall’esposizione delle opere vincitrici della sezione Digital Storytelling. Si tratta dei video racconti di giornalisti visivi, produttori o narratori realizzati con l’uso della tecnologia digitale e fruibili anche con smartphone o tablet. Sono allestite due sale di proiezione dei cortometraggi premiati e un monitor touchscreen dedicato alla sezione interactive. I vincitori di questa categoria sono stati selezionati fra 300 produzioni (77 progetti interattivi, 140 video brevi e 83 video lunghi) pervenute ad una giuria presieduta da Zahra Rasool, responsabile dello studio Contrast VR di Al Jazeera.
I lavori degli Italiani in mostra sono cinque. Il reportage “La crisi del lago Ciad” di Marco Gualazzini (agenzia Contrasto) ha vinto il primo premio per la sezione Environment stories. Gualazzini ha descritto la crisi umanitaria in corso sulle sponde del lago Ciad, nell’Africa centrale. Secondo il giudizio della giuria, “c’è un’enorme crisi dei rifugiati e questo fotografo ce ne mostra le sue radici”; interseca i problemi ambientali e i conflitti che portano alle migrazioni. Neil Aldridge, membro della giuria, commenta la foto di Gualazzini sul lago Ciad: “È una questione molto complessa da ritrarre e penso che il fotografo l’abbia fatto magnificamente, con vera abilità estetica e narrativa”.

Lorenzo Tugnoli (agenzia Contrasto) è il vincitore del primo premio nella sezione General news stories con il reportage “La crisi in Yemen” realizzata fotografando i campi dei rifugiati, gli ospedali e la linea del fronte. E’ esposto lo scatto di Daniele Volpe, fotografo indipendente, secondo premio foto singole per la sezione general news con “Still Life Volcano”. E ancora, ospiti della sezione Digital Storytelling sono gli autori del video “Ghadeer”: Matteo Delbò, filmaker Rai, e la torinese Chiara Avesani, giornalista freelance e collaboratrice di “Report” (Rai) e Sky News. Il loro lavoro è risultato vincitore del terzo premio nella categoria short video, nonché parte del progetto “Frontline of peace”: documentari web sugli sforzi di ricostruzione in Iraq.
La mostra, riconosciuta per il suo alto valore culturale, sociale ed educativo, costituisce un viaggio per immagini tra gli avvenimenti più rilevanti del nostro tempo. L’esposizione arriva a Torino grazie all’impegno di Vito Cramarossa, presidente dell’Associazione CIME – Culture e Identità Mediterranee, che da più di dieci anni si occupa di promozione culturale e territoriale in Italia e all’estero e che rappresenta uno dei partner più importanti della Fondazione World Press Photo, con l’organizzazione di quattro tappe italiane della mostra WPP 2019: Bari, Palermo, Torino e Napoli.
World Press Photo, oltre a essere una importante mostra, è l’occasione per riflettere sulle grandi questioni, dall’emergenza ambientale ai diritti negati alle donne in molti Paesi del mondo, grazie a una serie di incontri (con ingresso gratuito), secondo un calendario disponibile sul sito della mostra
Sarebbe molto utile per i tanti studenti che oggi si sono assentati dalle lezioni, addirittura con l’imprimatur del ministro dell’Istruzione, visitare la mostra e partecipare agli incontri in programma: la loro azione a difesa dell’ambiente (e dei più deboli) ne guadagnerebbe sicuramente.

Dei numerosi incontri in calendario, ne evidenziamo due: il primo, in calendario sabato 28 novembre alle 17,30 con la presenza di Marco Gualazzini, e quello dell’avvocato Bruno Segre, il prossimo 17 ottobre.
Sabato 28 settembre ore 17,30
Public lecture di Marco Gualazzini (primo classificato categoria “Environment Stories” e finalista per il World Press Photo of the Year).
Una gravissima crisi umanitaria è in corso nel bacino del Ciad, causata da una complessa combinazione di conflitti politici e fattori ambientali. Il lago Chad, uno dei più grandi dell’Africa, un’ancora di salvezza per 40 milioni di persone, sta attraversando un momento di massiccia desertificazione. A causa dell’irrigazione non pianificata, della siccità, della deforestazione e della poco efficiente manutenzione, la dimensione del lago è diminuita del 90 per cento negli ultimi 60 anni.
I mezzi di sostentamento tradizionali delle popolazioni vicine al lago Chad, come la pesca, si sono impoveriti e la scarsità d’acqua sta causando conflitti tra agricoltori e allevatori di bestiame. Il gruppo jihadista Boko Haram, che è attivo nell’area, beneficia delle difficoltà economiche e della fame diffusa per allargare le proprie fila.
Il gruppo di fondamentalisti islamici utilizza i villaggi locali come terreno di reclutamento e il conflitto ha sradicato 2,5 milioni di persone dal territorio africano.
Giovedì 17 ottobre ore 18,30
“La lezione di Bruno Segre”.
Presentazione di “Non mi sono mai arreso” di Nico Ivaldi, Editrice il Punto. Il libro racconta Bruno Segre, 101 anni, figura tra le più limpide e coraggiose dell’antifascismo italiano, avvocato protagonista di tante battaglie e decano dei giornalisti del Piemonte. Combattente partigiano nelle valli del cuneese – dopo aver rischiato la fucilazione nel carcere di via Asti e la deportazione per mano dei repubblichini – nel dopoguerra ha condotto battaglie civili per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza (nel 1949 difese il primo obiettore in Italia) e a favore del divorzio. «Vorrei essere ricordato come una persona che si è sempre opposta a tutti i tentativi di prevaricazione, d’imposizione forzata in sede politica o religiosa. Sul mio sepolcro vorrei il motto di Saul Bellow: “Qui giace un vinto – dalla morte – che non si è mai arreso».
Altre immagini della presentazione alla stampa della mostra World Press Photo Torino sono disponibili qui